L’IVAFE rappresenta un onere significativo nell’ambito della tassazione delle attività detenute all’estero da contribuenti residenti in Italia, in particolare persone fisiche, incidendo in maniera rilevante su conti correnti e prodotti finanziari.
L’introduzione di questo tributo, ai sensi dell’art. 19, commi 18 e ss. Del DL 201/2011, aveva come obiettivo quello di equiparazione del prelievo effettuato in Italia sulle fattispecie riconducibili alla medesima categoria, mediante l’applicazione dell’imposta di bollo.
Tale equiparazione, partendo dal semplice confronto tra normativa in materia di tassazione delle attività estere e regole per l’applicazione dell’imposta di bollo, non appare raggiunta. A tal proposito, facendo riferimento all’intervento da parte dell’AIDC sezione di Milano e della Commissione per l’esame della compatibilità di leggi e prassi tributarie italiane con il diritto Ue del 12 dicembre 2019 con apposito documento, si evince essenzialmente l’illegittimità rispetto alla normativa comunitaria degli adempimenti richiesti ai fini interni con riferimento alla compilazione del quadro RW.
Il documento analizza, inoltre, la questione della possibile incompatibilità della disciplina IVAFE rispetto a quella dell’imposta di bollo: il presupposto dell’IVAFE dovrebbe coincidere con quello dell’omologa imposta di bollo, con lo scopo di evitare che investimenti finanziari effettuati all’estero da contribuenti residenti in Italia siano discriminati rispetto a quelli fatti nel territorio dello Stato. Tale principio di base viene declinato in due temi principali: il primo può essere ricondotto a un aspetto soggettivo riguardante coloro che sono chiamati all’applicazione dell’imposta di bollo. Secondo quanto previsto dal DM 24 maggio 2012, l’imposta di bollo si applica sul valore dei prodotti finanziari risultante, alla fine del periodo rendicontato, dalle comunicazioni periodiche ed è rapportato al periodo medesimo senza interessare, dal punto di vista temporale, il periodo di possesso del prodotto finanziario “singolo”. Sulla base di ciò si afferma dunque che l’IVAFE dovrebbe essere calcolata applicando l’aliquota di imposta sui saldi delle comunicazioni rilasciate dall’intermediario con riferimento all’anno di competenza. Un approccio come quello descritto nel documento eviterebbe anche una complicazione correlata alla compilazione del quadro RW, ovvero, alla modalità di determinazione dell’IVAFE in relazione al patrimonio finanziario detenuto all’estero. In questo caso infatti, la base imponibile viene determinata in relazione al periodo di possesso del singolo prodotto in portafoglio.
Il secondo tema è invece di carattere oggettivo, e deriva dal disposto dell’art. 13 comma 2-ter della Tariffa Parte I allegata al DPR 642/72. In base a detta norma l’imposta di bollo si applica, oltre che sugli estratti conti anche e solo sulle comunicazioni periodiche inviate dagli enti gestori alla clientela relative a prodotti finanziari, depositi bancari e postali. Di conseguenza, l’imposta di bollo riguarda esclusivamente le attività depositate presso enti gestori che sono, ai sensi di quanto previsto dal DM 24 maggio 2012, i soggetti che esercitano attività bancaria, finanziaria o assicurativa secondo quanto previsto dal TUB ovvero dal TUF.
A differenza della disciplina prevista in materia di imposta di bollo, invece, l’IVAFE si applica su tutti i prodotti finanziari esteri o detenuti all’estero a prescindere dal fatto che siano immessi in relazioni con intermediari obbligati alla relativa rendicontazione. Ad esempio, una persona fisica residente in Italia che detiene una partecipazione in una società per azioni i cui titoli non sono depositati presso un istituto di credito, una SIM o una SGR, non è soggetta a imposta di bollo secondo le disposizioni di legge sopra esaminate.
Nella stessa ipotesi, in caso di detenzione di azioni all’estero o di azioni estere non affidate a un intermediario equiparabile a una banca o a una SIM o SGR è invece soggetto a IVAFE.
Tale situazione, secondo il documento analizzato, genererebbe un palese contrasto con il principio di libertà dei movimenti di capitali e. in determinati casi, con quello di libertà di stabilimento.