La Corte di Cassazione, con la sentenza 19 aprile 2018 n. 9717 ha delineato chiaramente la propria posizione in materia di cessioni comunitarie e prove del trasferimento.
È stato affermato infatti che, nell’ambito delle cessioni intracomunitarie, i documenti di origine privata quali, ad esempio, le fatture emesse e la documentazione attestante il relativo pagamento, non sono considerate idonee a dimostrare la sussistenza dei requisiti previsti per la non imponibilità delle operazioni.
A parere della Corte, infatti, tra le prove idonee a dimostrare la qualifica comunitaria dell’operazione devono essere annoverati il modello Cmr e i contratti commerciali.
Nell’ambito della disciplina comunitaria, si ricorda che gli elementi sostanziali necessari a qualificare un’operazione come comunitaria risultano essere:
a) l’avvenuto trasferimento all’acquirente del potere di disporre del bene come proprietario;
b) l’avvenuta spedizione o trasporto del bene in un altro stato membro (diverso da quello del cedente);
c) l’effettiva fuoriuscita della merce dal territorio dello stato membro del soggetto cedente.
Tale ultimo elemento costituisce una condizione strutturale della fattispecie normativa e la sua mancanza impedisce il riconoscimento del carattere comunitario dell’operazione.
Oltre agli oneri formali, quindi, il cedente dovrà verificare la sussistenza dei requisiti sostanziali sopracitati e, in particolare, richiamando i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 477/2008, essere in grado di poter fornire “la prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria e dell’uscita dei beni dal territorio […] con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro stato membro”.
Tale apertura che sembra dimostrata dall’Agenzia delle Entrate, si rivela invece in controtendenza con le recenti e restrittive sentenze della Corte di Cassazione (da ultimo, sentenza n. 9717/2018) la quale ritiene necessario, quale prova fondamentale, il Cmr firmato.