L’atto di fusione (o di scissione) di una società non si può stipulare se i creditori hanno presentato opposizione, nemmeno depositando presso un istituto bancario le somme per pagare i creditori.
Lo scorso fine luglio, il Consiglio dei notai romani con una massima, ha sostenuto che non si può stipulare l’atto di fusione (o scissione) di una società se i creditori hanno presentato opposizione, neppure depositando in una banca le somme per pagare i creditori contrari all’operazione; in caso di opposizione dei creditori per la stipula dell’atto di fusione o scissione occorre sempre un intervento del giudice, per stabilire se sia fondato, o meno, il pericolo di pregiudizio sostenuto dai creditori a fondamento della loro opposizione.
L’articolo 2503 del Codice civile consente, vincolando una somma di denaro occorrente al pagamento dei creditori che potrebbero opporsi, di procedere a stipulare l’atto di fusione di fusione o scissione anteriormente alla scadenza del termine – di 15, 30 o 60 giorni, a seconda dei casi – che la legge concede ai creditori per presentare opposizione alla fusione (o alla scissione). Secondo i notai romani, il deposito del denaro non si rende, però, utilizzabile nel caso in cui sia stata già presentata opposizione alla fusione (o alla scissione) da uno o più creditori, a meno che il Tribunale non autorizzi la stipula dell’atto ritenendo non fondato il pericolo di danneggiamento alle loro ragioni adotto dai creditori a supporto della loro opposizione.
I notai romani ritengono, dunque, che bisogna tener separati da un lato, il pagamento dei creditori opponenti e, dall’altro il deposito in banca delle somme idonee a soddisfarli, che di per sé non provoca automaticamente la cessione della materia del contendere. In quest’ultima ipotesi, per far cessare gli effetti inibitori dell’opposizione, occorre infatti che il Tribunale valuti le garanzie prestate dalla società per verificare che gli interessi dei creditori siano sufficientemente tutelati.