Sommario
- IL TRASFERIMENTO IN ITALIA DI ATTIVITA’ ECONOMICHE (RESHORING)
- MODIFICA AI CRITERI DI RESIDENZA FISCALE
1. IL TRASFERIMENTO IN ITALIA DI ATTIVITA’ ECONOMICHE (RESHORING)
Premessa
Il Decreto 209/2023, entrato in vigore il 29.12.2023 in attuazione dell’art.3, comma 1, lett. d) della Legge delega, ha introdotto agevolazioni fiscali per le imprese residenti all’estero la cui attività economica viene trasferita in Italia (c.d. reshoring) con il fine di “promuovere lo svolgimento nel territorio dello Stato italiano di attività economiche’’.
Agevolazioni interessate
L’art. 6 del D.lgs. 209/2023 prevede un regime di detassazione del 50% (ai fini IRES e IRPEF e del valore della produzione netta ai fini IRAP) per i redditi derivanti da attività di impresa e dall’esercizio di arti e professioni esercitate in forma associata, trasferite in Italia da un paese extra-UE/SEE. L’agevolazione non si applica quindi alle attività precedentemente svolte in un Paese dell’UE, in Norvegia, Islanda o Liechtenstein.
L’agevolazione è subordinata all’autorizzazione da parte della Commissione Europea ai sensi dell’art 108, par. 3, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (in seguitoTFUE) (comma 5).
Il beneficiario ha l’obbligo di mantenere separate evidenze contabili idonee a consentire una corretta determinazione del reddito imponibile e della somma agevolabile (comma 3).
Dall’agevolazione sono escluse le attività esercitate nel territorio dello Stato nei ventiquattro mesi antecedenti al trasferimento (comma 2).
Decorrenza
L’agevolazione opera nel periodo di imposta in corso al momento del trasferimento e nei cinque periodi di imposta successivi e si applica a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto, per i soggetti con periodo di imposta coincidente con l’anno solare dal 2024 (comma 1).
Clausola di recapture
L’art. 6 (comma 4) stabilisce inoltre che, in caso di successiva delocalizzazione (anche parziale) in un paese UE o extra-UE nei 5 (10 per le grandi imprese) periodi di imposta successivi alla scadenza del regime di agevolazione delle attività precedentemente trasferite in Italia, è prevista la decadenza delle agevolazioni per le imprese che ne abbiano beneficiato. In particolare, la norma dispone il recupero delle imposte non pagate (con gli interessi) durante il regime agevolato e non prevede sanzioni. In Italia il periodo agevolato e di osservazione corrispondono a 16 anni per le grandi imprese e a 11 anni per gli altri beneficiari.
Incertezze applicative
Le incertezze applicative riguardano:
- La nozione di “trasferimento’’ delle attività
- La decorrenza dell’agevolazione
- La nozione di “attività economica’’
- La nozione di forma “associata’’ dell’attività economiche
- La clausola di recapture
- Il trattamento delle perdite
- Le interazioni con l’art. 166-bis del T.U.I.R.
- Le interazioni con il Pillar II
- L’obbligo di mantenere separate evidenze contabili
La nozione di “trasferimento’’ delle attività
Il trasferimento è da intendersi in senso fisico, senza dover essere accompagnato dal mutamento della titolarità giuridica delle attività. Sicuramente il trasferimento dovrà riguardare gli asset e non solo la residenza del soggetto giuridico cui si riferiscono, e dovrebbe essere esclusa dall’agevolazione l’inizio in Italia di un’attività diversa da quella svolta all’estero.
Per soddisfare il requisito del trasferimento le attività devono:
- Preesistere al trasferimento;
- Essere state svolte precedentemente in un paese estero (extra UE/SEE);
- Non essere più esercitate all’estero successivamente al trasferimento
Il semplice mutamento di titolarità giuridica di un’azienda già precedentemente situata in Italia non va a soddisfare il requisito del trasferimento da un paese extra-UE/SEE, così come l’avvio di una nuova attività in Italia da parte di un operatore extra-UE.
Per quanto riguarda il trasferimento di attività già esercitate in Italia, l’agevolazione non viene applicata; ad esempio una società estera proprietaria di una stabile organizzazione italiana non è idonea all’applicazione dell’agevolazione in quanto l’attività relativa alla stabile organizzazione è già svolta nel territorio dello Stato prima del trasferimento.
Fra le attività economiche trasferite a cui si applica l’agevolazione, rientrano anche le attività di impresa esercitate da società appartenenti al medesimo gruppo.
Non è chiaro se l’attività all’estero debba essere stata svolta per un periodo minimo e se ciò debba essere dimostrato.
Nel caso di trasferimento di attività economiche situate all’estero i cui redditi siano già tassati in Italia è da ritenersi applicabile ugualmente il regime agevolativo.
La decorrenza dell’agevolazione
L’agevolazione trova applicazione a partire dal periodo di imposta in corso al trasferimento dell’attività. È irrilevante il momento del periodo di imposta in cui il trasferimento avviene.
La nozione di “attività economica’’
Il termine “attività economiche’’ e in particolare “attività di impresa” cui è rivolta l’agevolazione, è piuttosto generico e ha suscitato dubbi interpretativi in quanto la norma non precisa se:
- Il trasferimento in Italia debba riguardare un’attività di impresa esistente all’estero in senso oggettivo ai sensi dell’art. 55 T.U.I.R oppure
- Sia sufficiente il trasferimento in Italia di qualsiasi attività economica esercitata da un soggetto astrattamente titolare del reddito di impresa (quindi anche nel caso dell’attività di mero godimento esercitata da una holding statica)
Delle due interpretazioni tende a prevalere la prima e, secondo questa interpretazione le attività trasferite devono consistere in unità operative preposte a configurare aziende o rami d’azienda, mentre non dovrebbero beneficiare dell’agevolazione il trasferimento di beni isolati o la ricollocazione in Italia di mere funzioni.
La nozione di forma “associata’’ delle attività economiche
In mancanza di un espresso rinvio all’art. 5 del TUIR, il quale disciplina i redditi prodotti in forma associata assoggettati al regime di trasparenza fiscale, dovrebbe ritenersi inclusa qualsiasi attività svolta in forma non individuale. Se ne deduce che le agevolazioni sono escluse per gli imprenditori individuali.
Clausola di recapture
Le incertezze in merito alla clausola di recapture richiedono che:
- Venga verificata la conformità al principio di libertà di stabilimento dell’art. 49 del TFUE, considerando che una analoga misura è prevista dall’art. 5, comma 1, del DL. 87/2018, il quale prevede la decadenza delle agevolazioni per le quali le imprese abbiano beneficiato di un aiuto di stato nel caso in cui l’attività economica venga delocalizzata in stati extra-UE, fatta eccezione per gli stati aderenti allo SEE.
Una possibile interpretazione, vede la norma compatibile con il diritto dell’Unione europea, in quanto i vincoli sono intesi come oneri al fine di un beneficio (sussidio pubblico) e non obblighi volti a limitare la libertà dell’impresa;
- Venga verificata la compatibilità con la direttiva 2016/1164/UE, la quale non prevede oneri fiscali per il (ri)trasferimento di attivi in uno Stato dell’Unione.;
- Venga verificata l’aderenza al principio di proporzionalità, dal momento che il recupero dell’agevolazione avviene per intero anche nel caso di trasferimento parziale; la soluzione più adatta si ritiene consista in un recupero parziale delle imposte non pagate in caso di delocalizzazione parziale dell’attività.
Il trattamento delle perdite
Secondo l’art. 83, comma 1, secondo periodo, le perdite registrate da attività soggette a regimi di detassazione del reddito sono rilevanti e nella misura del 50% del loro ammontare potrebbero essere portate ad abbattimento dei redditi a tassazione ordinaria generati nel medesimo periodo di imposta, mentre per l’eccedenza sarebbero riportate a nuovo (secondo i limiti previsti dall’art. 84 del T.U.I.R.).
In alternativa, si potrebbe optare per un regime più favorevole per il contribuente, consentendo la deducibilità integrale della perdita derivante dall’attività agevolata dai redditi soggetti a tassazione ordinaria, con recapture del beneficio nei periodi in cui l’attività agevolata produce redditi imponibili, a valere su questi ultimi redditi.
In assenza di una specifica disposizione, non sembra adottabile una soluzione che imponga l’utilizzo delle perdite dell’attività esente esclusivamente in riduzione dei successivi redditi generati dalla medesima, e che consenta, dopo la cessazione del regime agevolato, di utilizzare le perdite residue in riduzione dei redditi imponibili ordinari.
Le interazioni con l’art. 166-bis del T.U.I.R.
Si ritiene l’art. 6 del D.lgs. 209/2023 sia compatibile con l’art. 166-bis del T.U.I.R., in quanto il primo permette di valorizzare a mercato i valori fiscali di partenza degli attivi di provenienza extra-UE (avendo natura sistematica), il secondo esenta in modo parziale il reddito determinato a partire da quei valori (avendo carattere agevolativo) operando in seconda battuta.
Le interazioni con il Pillar II
L’incentivo al reshoring determina una riduzione dell’aliquota di imposizione effettiva rilevante ai fini del Pillar II. Qualora inferiore al 15% l’incentivo può venire parzialmente recuperato per effetto dell’applicazione della qualified domestic minimum top-up tax (QMDTT).
L’obbligo di mantenere separate evidenze contabili
Non vengono chiarite le modalità con cui i contribuenti sono tenuti a mantenere le separate evidenze contabili ai fini dell’agevolazione. Inoltre, vi sarebbe la necessità di attivare un meccanismo di contabilità analitica, finalizzato alla redazione di un conto economico e stato patrimoniale relativo all’attività fiscalmente esente.
2. MODIFICA AI CRITERI DI RESIDENZA FISCALE
Premessa
L’art. 2 co. 1 lett. a) del D.lgs. 209/23 è intervenuto sull’art. 73 co. 3 del TUIR, modificando i criteri secondo i quali è determinata la residenza fiscale dei soggetti IRES. Il medesimo intervento è stato effettuato anche sull’art. 5 co. 3 del TUIR per le società di persone e soggetti assimilati.
Il nuovo criterio di determinazione della residenza ai fini delle imposte sui redditi fa riferimento a “società ed enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale’’, superando dunque il riferimento alla sede dell’amministrazione e all’oggetto principale. È sufficiente sussista anche solo una delle condizioni per stabilire la residenza di una società nel territorio dello Stato.
Il fine dell’intervento è quello di “assicurare maggiore certezza giuridica, tenendo anche conto delle prassi internazionali e dei criteri per la definizione della residenza previsti dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni’’.
Decorrenza
Le nuove formulazioni si applicano dal periodo di imposta successivo a quello in corso dal 29.12.2023 (data di entrata in vigore del D.lgs. 209/2023), che, per i soggetti con periodo di imposta coincidente con l’anno solare, corrisponde al 2024.
Requisito temporale
Il requisito temporale è soddisfatto con la permanenza per la maggior parte del periodo di imposta, quindi 183 o 184 giorni, in una delle tre sedi previste.
Sede legale
Si identifica con la sede sociale identificata nell’atto costitutivo o nello statuto.
Sede di direzione effettiva
La norma individua la sede di direzione effettiva in un’attività o, meglio, nel luogo in cui vengono prese le decisioni strategiche riguardanti la società nel suo complesso. Tale modifica normativa, consente di allineare i criteri interni di individuazione della residenza e le regole di natura convenzionale per i casi di doppia residenza (tie-breaker rules) contenute nelle Convenzioni. In caso di doppia residenza si rinvia al place of effective management (POEM), come stabilito nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni.
Inoltre, viene specificato che l’individuazione della sede di direzione effettiva non dipende dal luogo in cui è svolta l’attività di supervisione e monitoraggio della gestione da parte dei soci, con l’obiettivo di evitare che si dia troppo rilievo al ruolo dei soci. Tale interpretazione dovrebbe far venire meno le contestazioni di esterovestizione sollevate con riguardo alle controllate estere di una capogruppo italiana sulla scorta dell’attività di supervisione e coordinamento svolta da quest’ultima.
La gestione ordinaria in via principale
Per gestione ordinaria si intende il continuo o coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso. In questo modo il criterio di collegamento con l’oggetto della società è identificato con la sua attività e non con l’oggetto dell’attività stessa. In questo modo una società immobiliare può essere residente all’estero se lì è il luogo della sua gestione ordinaria, sebbene gli immobili (oggetto della gestione) siano localizzati in Italia.
Criteri per l’individuazione della residenza
Si rimanda alle Convenzioni contro le doppie imposizioni nei casi di doppia residenza, con il subentro dei criteri tie breaker rules, che tendono ad affermare la prevalenza della sede della direzione effettiva.
Il modello più recente dell’OCSE (2017), risolve i casi di doppia residenza rimandando ad un accordo tra le Amministrazioni degli Stati contraenti, utilizzando come primo criterio per l’accordo il luogo della direzione effettiva.
Presunzione di esterovestizione
Il comma 5 dell’art. 73 del T.U.I.R. contiene una presunzione di residenza per le società ed enti che detengono partecipazioni di controllo in società ed enti residenti in Italia, nel caso in cui essi siano controllati da soggetti residenti nel territorio dello Stato o siano amministrati da organi composti per la maggior parte da soggetti residenti. La modifica al presente comma elimina il riferimento alla sede dell’amministrazione.
Dunque, le società non residenti, al ricorrere degli elementi di esterovestizione, potranno fornire prova contraria circa la sussistenza all’estero della sede di direzione effettiva e dello svolgimento della gestione ordinaria in via principale.
OICR e Trust
La disciplina è rimasta sostanzialmente invariata, se non per una modifica alla residenza degli OICR e dei trust.
Gli OICR sono considerati residenti in Italia se istituiti nel territorio dello Stato. Per i trust dipende se sono considerati residenti sulla base delle regole generali o meno. Nel caso in cui il trust sia istituito in un Paese estraneo alla white list, si considera residente in Italia se almeno un dipendente e un beneficiario risiedono nel territorio dello Stato, oppure se, in seguito alla costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettua in favore del trust un’attribuzione che importa il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari.