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Il 31 dicembre 2020 si è concluso il periodo di transizione stabilito nell’accordo di recesso tra l’Unione Europea e il Regno Unito. Dal 1° gennaio 2021, il Regno Unito non fa più parte del mercato unico europeo e quindi non si applica più il principio della libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali tra lo stesso e l’Unione Europea.

La qualifica del Regno Unito come Paese extra UE determina rilevanti conseguenze fiscali, doganali e legali.

Di seguito un breve excursus delle principali ricadute fiscali derivanti da tale recesso.

Sotto il profilo della fiscalità diretta, una delle principali conseguenze dell’uscita del Regno Unito dall’UE è il venir meno dei benefici previsti dalle direttive n. 2011/96/UE (cosiddetta “direttiva madre-figlia”) e n. 2003/49/CE (cosiddetta “direttiva interessi e canoni”), consistenti nell’esenzione totale da ritenuta alla fonte dei redditi generati in uno Stato Ue corrisposti ad un soggetto residente in altro Stato UE. Tale agevolazione si applicava in presenza di un rapporto partecipativo minimo del 10% per i dividendi e del 25% per gli interessi e per le royalties.

La disapplicazione di tali direttive comporta l’applicazione delle ritenute alla fonte stabilite dalla Convezione bilaterale Italia-Regno Unito, la quale prevede:

  • per i dividendi un prelievo fiscale alla fonte pari al 15%, che si riduce al 5% nel caso in cui la società beneficiaria abbia almeno il 10% dei diritti di voto nella società che paga gli utili.
  • per gli interessi e le royalties l’applicazione di una ritenuta alla fonte rispettivamente del 10% e dell’8%.

L’uscita del Regno Unito dall’UE comporta inoltre un aggravio impositivo sul patrimonio immobiliare detenuto dagli italiani nel Regno Unito. Con la Brexit, infatti, l’imposta sul valore degli immobili situati all’estero (cd. IVIE) aumenta sensibilmente, in quanto la rendita catastale non è più considerata come base imponibile per il calcolo dell’imposta.

L’Ivie sarà d’ora in poi determinata, applicando l’aliquota dello 0,76% sul più basso tra il valore di mercato e il prezzo d’acquisto dell’immobile; valori questi ultimi molto più elevati rispetto alla rendita catastale. Tale aggravio impositivo è accentuato dalla circostanza che la Council Tax versata nell’UK non può essere portata in detrazione dell’Ivie.

Il criterio del costo d’acquisto o del valore di mercato dell’immobile detenuto all’estero, inoltre, deve essere applicato anche ai fini dell’assolvimento degli obblighi di monitoraggio fiscale tramite compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi.

Relativamente alla fiscalità indiretta uno dei riflessi fiscali di maggior rilevanza della Brexit consiste nella necessità da parte degli operatori economici residenti in Italia di nominare un rappresentante fiscale in UK per poter effettuare cessioni nei confronti di privati consumatori inglesi per importi superiori alle 150 sterline.

Un’altra questione aperta dalla Brexit riguarda gli operatori economici nel Regno Unito e la possibilità per gli stessi di avvalersi dell’identificazione diretta ai fini Iva in Italia. Secondo un primo orientamento dell’Autorità fiscale italiana, tali operatori avrebbero dovuto chiudere la partita iva italiana loro attribuita e chiederne una nuova per il tramite di un rappresentante fiscale. Tale orientamento, in seguito è stato superato con la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n.7/2021, la quale riconoscendo l’esistenza di un accordo di cooperazione amministrativa tra UK e Italia analogo a quello vigente in ambito UE, ha concesso la possibilità per gli operatori inglesi di continuare ad avvalersi dell’istituto dell’identificazione diretta ai fini Iva.

Si ricorda, che per quanto riguarda i beni ceduti all’esportazione tra UK e Italia e viceversa, nell’ambito di un contratto di commissione, agli stessi sono ancora riconosciuti i benefici del Plafond Iva sia per il committente che per il cessionario.

Altri riflessi fiscali della Brexit riguardano infine le prestazioni di servizi generici e le operazioni triangolari.

Per le prestazioni di servizi generici rese nei confronti del Regno Unito, la Brexit comporta che tali operazioni diventano “non soggette” non applicandosi più alle stesse il meccanismo del reverse charge, mentre per quelle ricevute dall’UK il soggetto italiano sarà tenuto ad applicare il meccanismo del reverse charge emettendo autofattura e non più integrando la fattura ricevuta dal prestatore.

Per le operazioni triangolari con il Regno Unito, a seguito della Brexit, non sarà più possibile beneficiare delle semplificazioni previste per le operazioni triangolari comunitarie o per il trasferimento dei beni in altro Stato UE per lavorazioni o perizie. In questi casi potrà rendersi eventualmente applicabile la disciplina doganale del perfezionamento attivo e passivo.

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