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Secondo l’Agenzia delle Entrate, se la società che partecipa alla fusione non ha subito un depotenziamento dal punto di vista dei ricavi e dell’attivo patrimoniale, è ammesso il riporto delle perdite, degli interessi passivi indeducibili e delle eccedenze ACE anche se non si supera il test di vitalità previsto dall’art. 172 co. 7 del TUIR.

Nel caso di specie, prima della fusione (inversa), la società incorporante:

  • aveva ceduto un ramo d’azienda con cui venivano trasferiti la totalità dei dipendenti, le attrezzature, i software ed alcuni contratti relativi alla gestione tecnica ed amministrativa di un centro commerciale;
  • aveva sottoscritto con un’altra società un accordo secondo cui quest’ultima si impegnava a svolgere nei confronti dell’incorporante i servizi tecnici, commerciali ed amministrativi.

L’art. 172 co. 7 del TUIR prevede che, in caso di fusione societaria, le perdite fiscali, gli interessi passivi e le eccedenze ACE delle società partecipanti all’operazione, compresa la società incorporante, possono essere portate in diminuzione del reddito della società incorporante o risultante dalla fusione:

  • per la parte del loro ammontare che non eccede quello del Patrimonio netto della società che riporta le perdite, quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale redatta ai sensi dell’art. 2501-quater c.c., senza tener conto dei conferimenti e dei versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa (c.d. “limite del Patrimonio netto”);
  • qualora dal Conto economico della società le cui perdite sono oggetto di riporto, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all’art. 2425 c.c., superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori (c.d. “test di vitalità”).

Nel caso di specie, il test di vitalità non risulta superato e la società ha deciso di presentare interpello disapplicativo ai sensi dell’art. 11 co. 2 della L. 212/2000 con l’obiettivo di dimostrare che l’operazione di fusione non costituisce commercio di c.d. “bare fiscali”.

L’Agenzia delle Entrate ha quindi ammesso il riporto delle perdite, degli interessi passivi indeducibili e delle eccedenze ACE, considerando validi ai fini della verifica dell’assenza di un effettivo depotenziamento da parte della società partecipante alla fusione:

  • la serie storica dei ricavi della gestione caratteristica, che nel caso specifico si sono incrementati;
  • la composizione qualitativa e quantitativa dell’attivo patrimoniale, che risulta costituito da immobilizzazioni materiali;
  • la circostanza che, sebbene la società non abbia dipendenti, la stessa abbia continuato ad avvalersi delle prestazioni fornite dal personale di un’altra società attraverso la stipula di uno specifico contratto di fornitura di servizi. Inoltre, si valorizza il fatto che qualora il calcolo del test di vitalità fosse stato condotto considerando i relativi costi per servizi, il medesimo sarebbe stato superato.