Non rileva ai fini della stabile organizzazione, la residenza in Italia o meno del rappresentante dell’impresa estera; a fare la differenza è “il concreto e abituale svolgimento dell’attività”.
Non è determinante, ai fini di individuare la stabile organizzazione, la residenza in Italia o meno del rappresentante dell’impresa estera. Ciò che invece fa la differenza è la sua presenza sul territorio nazionale e il “concreto e abituale svolgimento dell’attività” per conto della società straniera. Questo quanto affermato dalla Ctr Emilia Romagna 217/11/2017 (presidente Pugliese, relatore Chierici). A dare una definizione dei limiti entro i quali si parla di stabile organizzazione in Italia dell’impresa estera sono i criteri definiti dall’articolo 162 del T.U.I.R. All’interno del medesimo articolo viene fatta un’ulteriore distinzione tra l’ipotesi “materiale” (commi 1-5) e quella “personale” (commi 6-8). In particolare, con riferimento a quest’ultima vengono indicati i seguenti requisiti:
- il soggetto presente in Italia, anche se non residente, conclude contratti in nome dell’impresa nel territorio dello Stato;
- l’esercizio di tale attività deve risultare abituale;
- i contratti conclusi devono essere diversi da quelli di acquisto di beni;
- il soggetto non deve essere un mediatore, un commissario generale o un altro intermediario che goda di uno status indipendente.
Secondo quanto emerso dalla sentenza la residenza si può considerare come elemento neutro, mentre ciò che è importante è il “concreto e abituale svolgimento dell’attività” per conto della società estera. Tutto ciò in linea con quanto si desume dal sesto comma del sopracitato articolo 162, laddove si prevede che il soggetto in questione possa essere indifferentemente residente o non residente in Italia. Nemmeno il fatto che parte dei pagamenti dei clienti dell’impresa estera venga eseguita attraverso accrediti sui conti italiani intestati al suo amministratore dimostra lo svolgimento in Italia di una effettiva attività “stabile” da parte di quest’ultimo. Seguendo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, la Ctr ha infine affermato che per quanto riguarda la verifica della sussistenza dei requisiti richiesti, occorre adottare criteri di natura formale ma anche analizzare questi aspetti sul piano sostanziale. La Cassazione 7682/2002 ha esteso tale principio anche alla verifica dei requisiti relativi alla dipendenza e alla partecipazione alla conclusione di contratti in nome della società estera. Ulteriore conferma è pervenuta dalla recente sentenza 12237 dello scorso 18 maggio, nella quale la Suprema corte ha rimarcato che affinché si possa configurare una stabile organizzazione in Italia, occorre che un’entità sia in grado di produrre beni o prestare servizi, di conseguenza è richiesta una dotazione minima di personale e beni materiali. La pronuncia si fonda sull’articolo 5 del modello di convenzione contro le doppie imposizioni, sottoscritto in ambito Ocse e dedicato al concetto di stabile organizzazione.
Tali conclusioni sono state accolte anche dalla Corte di giustizia Ue.