La Corte di Cassazione con la sentenza n. 6651/2016, si è pronunciata in merito al regime sanzionatorio dei costi “black list”.
La controversia sottoposta al vaglio della Suprema Corte trae origine da un avviso di accertamento di maggiori imposte, relativo al periodo d’imposta 2003, con cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato, ai fini IRPEG e IRAP, la deducibilità di alcuni costi “black list”, in quanto non indicati nel quadro RF della dichiarazione dei redditi.
Con la sentenza n. 6651/2016, la Suprema Corte ha sancito che, per l’omessa separata indicazione dei costi “black list”, la contestazione della violazione o il mero avvio di operazioni di verifica precludono la possibilità di regolarizzazione “ex post” dell’omissione; principio enunciato anche dall’Agenzia delle Entrate, secondo cui per le violazioni all’obbligo dichiarativo, risulta applicabile la sanzione proporzionale di cui all’art. 8, comma 3-bis, del D.lgs. n. 471/1997, perché ove fosse possibile porre rimedio alla mancata indicazione dei costi in oggetto dopo l’inizio dell’attività di verifica, la correzione si risolverebbe in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni preposte dal legislatore per l’inosservanza della relativa prescrizione e si porrebbe in contrasto con i principi di efficienza e di buon andamento dell’Amministrazione finanziaria. La fattispecie vagliata dalla Corte riguarda però l’anno 2003 e, dunque, il principio in questione va temporalmente circoscritto e risulta effettivamente applicabile ai soli casi di ravvedimento concernenti l’omessa indicazione dei costi “black list”, effettuati prima del 1° gennaio 2015.
Decorso tale termine, per effetto delle modifiche della Legge di stabilità 2015, è consentito per i tributi amministrati dall’ Agenzia delle Entrate sanare con il ravvedimento operoso le violazioni commesse in dichiarazione, anche se sono già iniziate attività di accesso, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento, delle quali i soggetti interessati abbiano avuto formale conoscenza. Risultano preclusive soltanto la formale notifica di atti di liquidazione e di accertamento, le comunicazioni di irregolarità e gli esiti del controllo formale. E ciò vale anche per le violazioni commesse prima del 1 gennaio 2015, per le quali sono ancora aperti i termini di accertamento.
La Cassazione ha inoltre ritenuto irrilevante per valutare l’applicabilità della sanzione amministrativa, prevista dall’articolo 8, comma 3-bis, D.lgs. n. 471/1997, l’abrogazione del comma 11, dell’art.110 del T.U.I.R., in quanto ha argomentato che la relativa disciplina transitoria derogherebbe al principio del favor rei sancito dall’art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997. L’abrogazione dell’articolo in questione, infatti non abolisce alcun tributo, ma soltanto un obbligo formale, peraltro assolutamente irrilevante ai fini impositivi, quello dell’obbligo di separata indicazione dei suddetti costi in dichiarazione. La Suprema Corte, pertanto, ha confermato la deducibilità dei costi oggetto di contestazione, ancorché la condotta fosse stata compiuta nel 2003, cioè quando i suddetti costi erano ancora indeducibili se non indicati in dichiarazione.