La Cassazione con la sentenza n. 8121/2016, si esprime sulla distinzione tra spese di rappresentanza e di pubblicità, le quali hanno un differente trattamento fiscale ai fini Iva e delle imposte sul reddito.
La Cassazione con la sentenza n. 8121/2016, si è espressa su una controversia riguardante due aspetti particolari del mondo della moda: da un lato si discute della rilevanza del costo e della relativa detrazione Iva su capi di abbigliamento che l’impresa cede gratuitamente a personaggi qualificati come VIP; dall’altro della rilevanza come costo relativo alle “divise”, cioè all’abbigliamento, ovviamente firmato, che indossano i dipendenti preposti alla vendita nei negozi cosiddetti “mono marca”.
In riferimento alla prima controversia, la Corte di cassazione omologa la versione dell’Amministrazione fiscale, ritenendo che il costo non sia pubblicità, “mancando l’obiettività di un collegamento immediato con la promozione di un prodotto o di una produzione e con l’aspettativa diretta di un maggior ricavo.
La nozione di spese di pubblicità ricomprende infatti, tutte le operazioni strumentali alla trasmissione di un messaggio destinato ad informare il pubblico dell’esistenza e della qualità di un prodotto o di un servizio, allo scopo di incrementare le vendite, anche se il nesso strumentale, posto a base del principio di detrazione Iva, non sussiste, almeno nella sua rappresentazione fisica.
Per l’altra controversia, la Corte di cassazione sposa la tesi del contribuente, riconoscendo che il costo delle “divise” rappresenta un componente del costo del lavoro deducibile ai fini delle imposte sul reddito. Tale indicazione viene fornita dalle disposizioni del CCNL, le quali inoltre demandano al giudice territoriale di “indagare se sia adeguatamente provato che i capi consegnati a domicilio riguardino effettivamente abiti e complementi d’abbigliamento e non altri articoli di moda”.
Nel contesto delle spese di pubblicità assume particolare rilevanza fiscale, dal punto di vista della detraibilità ai fini Iva, la fattispecie relativa alla distribuzione di campioni omaggio. Questi ultimi sono detraibili ai fini Iva, diversamente dalle donazioni, che nell’ambito della disciplina Iva sono assimilate all’autoconsumo cosiddetto esterno e quindi risultano imponibili. Su tale ambito si è espressa la Corte di giustizia con la sentenza C-581/08, sostenendo che la qualifica della distribuzione di un bene come “regalo di scarso valore” dipende da chi è il donatario finale previsto dal donatore, senza che il rapporto di lavoro intercorrente tra il donatario ed il suo datore di lavoro incida su tale qualifica. Da qui si può trarre la conclusione riguardante il tratto finalistico che qualifica il campione come tale, dato, appunto, dalla potenziale utilità del soggetto destinatario, come promoter del bene di cui viene promossa la vendita.