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La Cassazione, con l’ordinanza n. 11074, ha ritenuto illegittimo un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, in quanto mancavano le presunzioni gravi, precise e concordanti.

Il caso in questione riguardava una plusvalenza sorta a seguito della cessione di una “licenza taxi”.

I giudici di legittimità hanno chiarito che nella fattispecie di dichiarazione omessa, l’amministrazione può accertare i redditi sulla base di dati e notizie comunque raccolti, utilizzando qualsiasi elemento probatorio e ricorrendo al metodo induttivo, attraverso presunzioni supersemplici, cioè prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. L’onere della prova viene così invertito in capo al contribuente, il quale può produrre elementi contrari per dimostrare che quel reddito così accertato non è stato prodotto. Tuttavia, anche in questo caso, l’ufficio deve indicare i criteri logici, le proprie fonti di convincimento e le prove utilizzate per la ricostruzione del reddito, poiché solo così il contribuente può riscontrarne correttezza e veridicità per esercitare il diritto di difesa.

Infine è stato ribadito che in presenza di dichiarazione omessa e di accertamento induttivo, l’ufficio deve considerare anche le componenti negative. Se non venissero considerati i costi, rileva la sentenza, si assoggetterebbe a imposta il profitto lordo e non il reddito di impresa, violando così l’articolo 53 della Costituzione.