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Il rispetto del procedimento di convocazione dell’assemblea sociale costituisce il presupposto necessario affinché l’assemblea possa qualificarsi come regolarmente costituita e che quindi le deliberazioni ivi assunte risultino valide.

Si riporta qui di seguito il primo comma dell’articolo 2479 bis del Codice civile, che disciplina le modalità di convocazione dell’assemblea nell’ambito delle società a responsabilità limitata: “L’atto costitutivo determina i modi di convocazione dell’assemblea dei soci, tali comunque da assicurare la tempestiva informazione sugli argomenti da trattare. In mancanza la convocazione è effettuata mediante lettera raccomandata spedita ai soci almeno otto giorni prima dell’adunanza nel domicilio risultante dal registro delle imprese.”.

Nell’atto costitutivo si possono inserire diverse modalità di convocazione dell’assemblea; l’unico limite è dato dal fatto che tali modalità devono comunque essere in grado di assicurare la tempestiva informazione in merito agli argomenti da trattare a coloro che hanno diritto di partecipare all’assemblea, vale a dire ai soci, agli amministratori e sindaci, se nominati.

Se l’atto costitutivo non prevede nulla in merito alle modalità di convocazione, si applica il primo comma dell’articolo 2479 bis del Codice Civile, secondo cui la convocazione deve avvenire con lettera raccomandata spedita ai soci, al domicilio risultante dal registro delle imprese, almeno otto giorni prima dell’adunanza.

Ai fini del perfezionamento del procedimento di convocazione assembleare, bisogna aver riguardo al momento della spedizione dell’avviso e non al momento della sua ricezione (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 23218 del 14 ottobre 2013).

Nella generalità dei casi, si può affermare che la mancata convocazione dei soci determina, stando alla disciplina attualmente vigente, la nullità della decisione presa dai soci di società a responsabilità limitata per mancanza assoluta di informazione.

Con riguardo alle modalità di convocazione dell’assemblea, il Tribunale di Roma, Sez. impresa III, con una sentenza del 31 luglio 2015, ha affrontato il tema della possibile equiparazione tra l’invio di una raccomandata con ricevuta di ritorno e di un messaggio di posta elettronica certificata.

Il Tribunale di Roma afferma la completa equivalenza tra l’invio di un messaggio di posta elettronica certificata e quello di una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, anche nell’ipotesi in cui risulti assente la relativa previsione statutaria. A parere dei giudici romani, la raccomandata con ricevuta di ritorno indicata nel primo comma dell’articolo 2479 bis del Codice civile ed il messaggio PEC risultano integralmente equiparabili, garantendo anche quest’ultimo strumento (mediante la ricevuta di avvenuta consegna) la prova che la comunicazione è effettivamente pervenuta all’indirizzo PEC del destinatario.

La posta elettronica certificata è il sistema che permette di inviare e-mail con valore legale equiparato ad una raccomandata con ricevuta di ritorno, come stabilito dal D.P.R. n. 68 dell’11 febbraio 2005.

In particolar modo, l’articolo 4 del D.P.R. 68/2005 prevede che la posta elettronica certificata permette l’invio di un messaggio la cui trasmissione è valida anche agli effetti di legge.