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La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con la sentenza n. 6656 depositata in data 6 aprile 2016, ha evidenziato che grava sull’Amministrazione Finanziaria l’onere di dimostrare che un’operazione antieconomica realizzata tramite una società controllata o controllante avente sede all’estero costituisca reddito; in tale ambito trova applicazione la regola fondamentale secondo la quale la prova dell’elusione e dei suoi presupposti grava in capo all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate che intende operare le rettifiche.

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, l’Ufficio dell’Amministrazione Finanziaria contestava ad una società facente parte di un gruppo multinazionale, l’occultamento di ricavi provenienti dalla vendita di beni per il tramite di un’impresa estera appartenente al gruppo stesso.

A parere dell’Agenzia delle Entrate l’impresa estera avrebbe fatturato costi di pubblicità alla società italiana per la vendita di prodotti nel Paese estero; la contestazione promossa dall’Ufficio si focalizza sul fatto che i costi risultavano superiori ai ricavi provenienti dalle vendite dei medesimi prodotti.

A fronte di tale situazione l’Agenzia delle Entrate ha applicato la normativa vigente in materia di trasfer pricing, secondo la quale i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato che, direttamente o indirettamente, controllano l’impresa vengono valutati in base al valore normale dei beni ceduti.

Le commissioni di merito non hanno accolto la pretesa erariale; l’Agenzia delle Entrate ha quindi deciso di ricorre per Cassazione, ponendo l’accento sull’antieconomicità dell’operazione effettuata dalla società italiana, in quando i prezzi di vendita praticati risultavano inferiori rispetto ai costi sopportati.

La Suprema Corte non ha accolto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate. La Corte ha rilevato che la pretesa di maggior reddito derivante da un’operazione economica effettuata per il tramite di una società controllata o controllante estera deve essere provata dall’amministrazione. I giudici di legittimità hanno ribadito il principio secondo il quale la prova dell’elusione e dei suoi presupposti grava in capo all’ufficio che intende effettuare le relative rettifiche.

La Corte di Cassazione ha ritenuto corretta la motivazione indicata nella sentenza dalla Commissione tributaria regionale secondo la quale, a fronte della presunzione di maggior reddito promossa dall’Ufficio, ha contrapposto e valutato più verosimili, le ragioni promosse dalla società secondo cui, data la fase di start up in cui si trovava, il costi per la pubblicità risultavano superiori ai ricavi derivanti dalle vendite dei prodotti.