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Il concedente del contratto di leasing (di qualsiasi genere) può soddisfarsi per il credito per capitale fuori dal concorso sul bene oggetto del contratto, mentre per le somme dovute per interessi, anche di mora e per le spese maturate prima del fallimento, la soddisfazione avviene solo in moneta fallimentare, le spese e gli interessi maturati post fallimento non sono dovuti, le penali (anche se previste da contratto) non potranno essere insinuate in quanto il fallimento non è considerato causa di inadempimento. 

Il contratto di leasing ha avuto negli anni una crescente diffusione tanto da trovare una specifica disposizione nella Legge Fallimentare, contenuta nell’art 72-quater L.F. introdotta dal D.Lgs. n. 5 del 2006, il quale detta delle regole specifiche a seconda del fallimento del concedente o dell’utilizzatore del contratto, in questo ultimo caso il Curatore ha la facoltà di decidere se continuare il contratto o scioglierlo, in base alle necessità della procedura.

Nella fase di  accertamento del passivo, in caso di scioglimento del contratto da parte della procedura come utilizzatrice, il credito vantato dal concedente del contratto si suddivide in due “parti”: canoni  e interessi non onorati alla data di dichiarazione del fallimento, il cosiddetto capitale scaduto, e credito residuo in linea capitale (non comprensivo degli interessi) detto capitale a scadere. I canoni già incassati sono esenti dall’azione revocatoria per espresso richiamo da parte dell’articolo 72 quater comma 2 dell’ex. art 67 L.F., il quale dispone che “…non sono soggetti alla revocatoria i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso…” .

L’art. 72-quater L.F. dispone che “ …In caso di scioglimento del contratto il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale….il concedente ha diritto ad insinuarsi nello stato passivo per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene…”, nascono così due diverse fattispecie date dal maggiore o dal minore ricavato ottenuto dalla collocazione del bene, nel primo caso  il concedente verserà alla procedura la maggior somma ricavata rispetto al credito residuo, e sarà onere della Curatela pretendere il versamento della differenza a favore della procedura; nel secondo caso il concedente avrà il diritto di ottenere in moneta fallimentare il minor realizzo derivato dalla liquidazione del bene inferiore al credito residuo. Il creditore ha quindi il diritto di monetizzare il valore del bene di sua proprietà o attraverso una nuova riallocazione o tramite la vendita a valori di mercato, ma tale monetizzazione è in moneta fallimentare (ciò per garantire e non alterare il concorso dei creditori della procedura) e si può soddisfare al di fuori del concorso, ma deve insinuarsi al passivo, non essendo esentato dal concorso formale.

Il problema interpretativo ed operativo si inserisce nell’ammissione al passivo del capitale a scadere, la norma non è chiara rispetto al “quando” il creditore è legittimato ad insinuarsi al passivo, se prima della collazione del bene o se a collocazione avvenuta.

Il Tribunale di Udine con la sentenza n. 899/011 del 24.02.2012 in merito riferisce che “… nel caso in cui il valore di mercato del bene non sia stato ancora determinato in contradditorio fra la procedura fallimentare e il concedente, il credito del concedente può essere ammesso al passivo con riserva di deduzione del relativo importo per il quale opera la compensazione, trattandosi di una riserva sicuramente ammissibile, in quanto prevista dalla legge, secondo il disposto dall’art. 96, secondo comma, l. fall…. “, da questa pronuncia si deduce che la domanda di insinuazione da parte del concedente è ammissibile anche prima della nuova collocazione del bene e per l’intero credito (capitale scaduto e a scadere).

Il Tribunale di Pordenone con la sentenza n. 895/2014 depositata il 19 giugno 2014, riprende quanto statuito dalla decisione della Cassazione 1 marzo 2010 n. 4862 “… che parte da una corretta interpretazione del dato testuale della norma ed in particolare della dizione quanto ricavato e non quanto ricavabile che giustificherebbe la inammissibilità della domanda per i canoni a scadere post fallimento prima della effettiva riallocazione…”, in base a questa pronuncia il concedente deve insinuarsi al passivo in un primo momento per il capitale scaduto alla data di dichiarazione del fallimento (comprensivo degli interessi di mora e delle spese), e solo in un secondo momento, previa avvenuta collocazione del bene, insinuarsi per l’eventuale differenza. Questa ultima sentenza sembrerebbe ledere l’interesse del creditore concedente, in quanto potrà far valere al passivo il suo credito residuo con una insinuazione tardiva, trovandosi in pregiudizio, in sede di riparto, rispetto alla tutela data alla tempestiva insinuazione al passivo.

Nonostante le diverse pronunce della giurisprudenza susseguite negli ultimi anni, permane il problema della modalità con cui il creditore concedente si deve coordinare per il credito a scadere, se con una ammissioni tempestiva e per l’intero credito (capitale scaduto e a scadere) o con due ammissioni al passivo: una tempestiva con oggetto solo il capitale scaduto e una successiva una volta avvenuta la collocazione del bene per l’eventuale differenza tra il credito residuo in linea capitale e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene. Le due interpretazioni della norma non bilanciano contestualmente l’interesse della procedura e dei creditori, con la prima pronuncia si tutela il diritto del creditore di potersi insinuare tempestivamente al passivo, ma in questo modo il curatore avrebbe l’onere di controllare l’impiego del bene da parte della società di leasing, operazione non sempre facile soprattutto nel caso in cui la società di leasing non collabori, invece, con la recente sentenza del giugno 2014 del Tribunale di Pordenone, il creditore concedente si troverà a presentare a una successiva domanda, una volta riallocato il bene, che sarà  tardiva o nel peggiore dei casi ultratardiva, tale interpretazione agevola il curatore che avrà la certezza dell’avvenuta collocazione del bene nel momento in cui esaminerà la domanda di insinuazione al passivo potendo dare più certezza allo stato passivo.