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L’amministrazione finanziaria sempre più spesso effettua accertamenti in materia di Transfer Pricing, che si concludono in via stragiudiziale mediante il ricorso all’istituto del c.d. accertamento con adesione.

L’accertamento con adesione è visto con favore in Italia, in quanto permette di beneficiare di sanzioni ridotte e di evitare un contenzioso che spesso si protrae per diversi anni e il cui esito è molto spesso incerto. Tali benefici sul versante italiano possono tradursi in negativo sul versante estero, in quanto da tale adesione possono scaturire fenomeni di doppia tassazione internazionale dello stesso reddito.

Al fine di una maggiore comprensione della tematica in oggetto riportiamo il seguente caso.

La società Alfa, residente fiscalmente in Italia, acquista dei beni da una società consociata non residente, al fine di rivenderli sul mercato italiano. A tale acquisto, ai fini delle imposte sui redditi, si applica la disciplina dei prezzi di trasferimento, contenuta nel comma 7 dell’articolo 110 del TUIR, dato che si tratta di operazioni rilevanti effettuate con “parti correlate” non residenti.

L’amministrazione finanziaria italiana effettua una verifica fiscale nei confronti della società Alfa, in merito alla congruità dei prezzi di trasferimento applicati alle transazioni con la società consociata estera; da tale verifica fiscale scaturisce un accertamento in rettifica dei prezzi di trasferimento ai fini IRES e IRAP. A parere dell’Ufficio, la società Alfa ha comprato i beni dalla consociata estera a prezzi troppo elevati, presumendo, quindi, uno spostamento di materia imponibile dall’Italia allo Stato estero.

La società Alfa riceve gli avvisi di accertamento contenenti le rettifiche sopra evidenziate, a fronte dei quali decide di presentare istanza di accertamento con adesione (possibilità concessale dall’articolo 6, comma 2, D.Lgs. N. 218/1997); viene quindi intrapreso un contraddittorio con l’Ufficio, a termine del quale la società Alfa decide di accettare parzialmente i rilievi evidenziati dall’Ufficio con riguardo al valore delle transazioni intercorse con la consociata estera.

A seguito di tale rettifica la società Alfa si vede aumentare la base imponibile da assoggettare a tassazione in Italia (il prezzo di acquisto viene rettificato al ribasso e quindi la società Alfa si trova con un minor importo di costi e da ciò un aumento del reddito imponibile).

Dalla definizione dell’accertamento con adesione, effettuata dalla società Alfa, consegue una “doppia tassazione economica” del reddito in capo al gruppo di appartenenza, dato che il recupero di materia imponibile in Italia, grazie all’adesione, è stata già sottoposta a tassazione in capo alla consociata estera sotto forma di reddito da vendita dei beni alla società Alfa nel periodo d’imposta in cui tali cessioni sono state effettuate.

Per ovviare a tale problematica di doppia tassazione, la società consociata estera chiede all’Amministrazione Finanziaria del proprio Stato di operare un c.d. corresponding adjustment, ovvero la rideterminazione (nel nostro esempio corrisponde ad una riduzione) del prezzo delle transazioni oggetto di rettifica in capo alla società Alfa, in maniera tale da attribuire ad essa un minor reddito tassabile, con conseguente credito per l’imposta originariamente versata sull’imponibile rettificato.

L’amministrazione finanziaria dello Stato dove è localizzata la società consociata estera chiede che l’adjustment dei redditi avvenga tramite l’emissione di un nota di credito di importo uguale all’imponibile accertato e definito dalla società Alfa.

Operando nel modo sopra descritto si verrebbe a configurare un riallineamento ex post dei valori contabili delle transazioni tra le due società ai valori fiscali definiti in Italia a seguito di accertamento, anche se in un periodo d’imposta differente rispetto a quello in cui le transazioni hanno avuto luogo.

Dal punto di vista sostanziale il procedimento sopra descritto dà luogo ad un c.d. “rimpatrio di utili” nel Paese (nel nostro esempio l’Italia) in cui la rettifica in materia di Transfer Pricing ha determinato un maggior reddito.

Questo meccanismo rientra nel novero dei repatriation contenuto nel paragrafo 4.72 e seguenti delle Linee Guida dell’OCSE in materia di prezzi di trasferimento.

L’OCSE infatti consente agli Stati di porre in essere dei procedimenti mirati alla riallocazione tra le consociate dei minori costi/maggiori ricavi che sono stati oggetto di una “rettifica primaria” (ovvero di rettifica per accertamento) come se le transazioni fossero state fatte ab origine al valore definito in adesione e senza che ciò determini un’ulteriore rettifica – “secondary transfer pricing adjustment” – da parte di un’amministrazione fiscale in relazione a tale meccanismo.

 L’OCSE prevede in modo specifico l’emissione di una nota di credito, identificandola come uno dei possibili meccanismi operativi per conseguire “il rimpatrio degli utili”. Da un punto di vista strettamente civilistico, la nota di credito costituisce una rettifica in diminuzione, concordata tra le parti, del prezzo inizialmente pattuito delle transazioni per l’acquisto dei beni merce oggetto di rettifica.

Secondo la dottrina prevalente, la nota di credito dovrebbe dar luogo alla rilevazione nel bilancio della società Alfa di una sopravvenienze attiva da iscrivere nella voce E20 dello schema di conto economico di cui all’art. 2425 del Codice civile.

Da un punto di vista fiscale tale sopravvenienza non dovrebbe essere assoggettata ad IRES, dato che non rientra nella definizione di “ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi” prevista dall’articolo 88, comma 1, del TUIR.

Interpretando in maniera differente tale fattispecie, si perverrebbe ad un’ingiustificata doppia imposizione in Italia (minori costi deducibili e maggiori ricavi derivanti dalla ricezione della nota di credito). Tale caso di doppia imposizione violerebbe l’articolo 163 del TUIR, nella parte in cui prevede che: “la stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto”.

Il componente economico derivante dalla contabilizzazione della nota di credito ricevuta dalla società consociata estera non concorre alla formazione della base imponibile IRAP per due ordini di motivi. Innanzitutto, l’assoggettamento ad IRAP condurrebbe ad un’illegittima duplice imposizione del medesimo presupposto. Come seconda motivazione, l’assoggettamento ad IRAP della sopravvenienza attiva costituirebbe un’evidente violazione del principio di correlazione previsto dall’articolo 5, comma 4, del D. Lgs. n.446/1997. Difatti, l’assoggettamento ad IRAP è da escludersi in quanto i componenti negativi di reddito cui la sopravvenienza attiva si riferisce sono diventati indeducibili per effetto dell’accertamento.