Accade spesso che le aziende aggiustino i prezzi delle loro transazioni “intercompany”, in modo da conseguire risultati in linea con gli standard stabiliti a livello di gruppo (c.d. “outcomechecking”, o anche “profit-checking”).
Tali variazioni possono comportare conseguenze rilevanti per quanto attiene il valore dichiarato in dogana. Tale problematica assume una notevole importanza con riguardo al caso in cui il metodo di “transfer pricing” applicato dall’azienda per controllare la congruità dei propri prezzi di trasferimento non rientri nella categoria dei metodi tradizionali, ma piuttosto in quella dei “profit methods”, ovverosia i metodi che prevedono un prestabilito livello di profitto deciso dalle parti appartenenti al gruppo.
Nell’ambito della categoria dei “profit methods”, i “transfer pricing adjustments” vengono corrisposti al fine di allineare il profitto della “tested party” a quello stabilito nella “transfer pricing policy” decisa a livello di gruppo.
Il problema sorge con riguardo agli effetti in dogana prodotti dai c.d. price adjustments.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7716 del 2013, ha avuto modo di occuparsi di tale problematica; in particolare, la Corte ha negato il rimborso ad un contribuente che aveva rettificato delle bollette doganali definitive, in ottemperanza ad un accordo di transfer pricing successivamente sottoscritto con la consociata estera, richiedendo i dazi pagati in eccesso per effetto della revisione del prezzo di acquisto della merce.
Giova evidenziare, tuttavia, che i price adjustments, se effettuati in modo corretto, avrebbero il fine proprio di “garantire” che il prezzo infragruppo sia “congruo”.
Per risolvere tale problematica, l’importatore potrebbe anche ricorrere alla c.d. “revisione dell’accertamento”, il quale appare potenzialmente idoneo a consentire l’allineamento del valore doganale delle merci.
L’istituto della revisione dell’accertamento è lo strumento che consente di intervenire a posteriori sulla dichiarazione doganale e, quindi, successivamente allo svincolo delle merci e di adottare, eventualmente, i provvedimenti necessari alla regolarizzazione della dichiarazione stessa, sulla base di nuovi elementi o di quelli non correttamente valutati.
La revisione dell’accertamento costituisce, pertanto, il mezzo attraverso il quale l’Amministrazione Doganale, di propria iniziativa oppure su istanza della parte, sottopone al riesame un procedimento di accertamento concluso e, se necessario, ne pone rimedio qualora il procedimento stesso si sia concluso sulla base di elementi inesatti o incompleti.
L’istituto della revisione dell’accertamento dovrebbe poter essere attivato in caso di upward, così come di downward adjustments; ne conseguirebbe il diritto al rimborso dei dazi pagati in eccesso in caso di downward adjustments, così come il versamento dei dazi addizionali ed interessi, senza l’applicazione di sanzioni per gli upward adjustments.
Sarebbe preferibile, inoltre, ricorrere all’istituto della revisione dell’accertamento “per masse” e non per singola bolletta doganale, al fine di snellire la procedura.
Un’ulteriore soluzione al problema potrebbe essere data dalla “procedura semplificata della dichiarazione incompleta”, prevista dall’art. 76 del CDC (Codice Doganale Comunitario) e dagli artt. 253 ss. DAC (disposizioni di applicazione del codice doganale comunitario). Seguendo tale procedura, l’operatore appositamente autorizzato, nel momento in cui entrano le merci in dogana, presenta una dichiarazione doganale c.d. “provvisoria”, in quanto nel documento risultano assenti uno o più elementi necessari all’accertamento doganale, quale, ad esempio, il valore delle merci. I dati mancanti verranno indicati successivamente, a cura dell’importatore, in un’apposita dichiarazione integrativa, che verrà presentata all’Autorità doganale competente.
Tale ultima soluzione incontra particolari problemi in ipotesi di year-end-adjustments; infatti, i dati e i documenti assenti devono essere presentati in un arco temporale non superiore ad un mese dalla data di accettazione della dichiarazione dogale; le Autorità doganali possono estendere tale lasso di tempo, che non può comunque essere superiore ai quattro mesi.