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Nelle liquidazioni di società che rimangono inattive per lunghi periodi di tempo, all’atto dello scioglimento, i soci ricevono dalla procedura di liquidazione un importo nettamente inferiore rispetto a quanto investito; sorge quindi il problema della deducibilità o meno della minusvalenza che si viene a generare. Tale problematica riguarda solo ed esclusivamente i soci imprenditori, poiché i redditi da liquidazione attribuiti ai soci non imprenditori vengono qualificati come redditi di capitale, e quindi tali minori valori non potranno mai essere dedotti.

Invece per i soci imprenditori, la differenza che si viene a creare tra quanto incassato ed il costo della partecipazione annullata viene suddivisa in due parti:

  • una prima parte, corrispondente alla restituzione del capitale e delle riserve di capitale, ha natura di plusvalenza alla quale viene applicato il regime di esenzione contenuto nell’articolo 87 del TUIR, sempre che si verifichino le relative condizioni (c.d. participation exemption);
  • una seconda parte, data dall’utile assoggettato al regime proprio previsto dall’articolo 89 del TUIR (reddito imponibile pari al 5% del provento, se il socio è una società di capitali).

La prima parte può presentare un importo negativo e quindi le minusvalenze risultano deducibili solamente se non vengono soddisfatti tutti i requisiti stabiliti dall’articolo 87 del TUIR (participation exemption).

Tra i requisiti per poter accedere all’agevolazione della participation exemption vi è quello relativo all’esercizio da parte della società partecipata di un’impresa commerciale; tale condizione deve sussistere, in modo ininterrotto, al momento del realizzo, almeno dall’inizio del terzo periodo d’imposta anteriore al realizzo stesso. Tale requisito risulta di difficile soddisfacimento da parte delle società in liquidazione, dato che la loro attività mira al realizzo all’attivo, alla chiusura di tutte le partite debitorie e all’estinzione della società. In tale contesto è intervenuta l’Agenzia delle Entrate, la quale ha chiarito che, per le società in liquidazione, il triennio da prendere in considerazioni per verificare se è stata svolta un’attività commerciale, è quello antecedente alla liquidazione.

L’Agenzia delle Entrate è tornata sull’argomento dello svolgimento di un’attività commerciale con la circolare n. 7 del 2013, delineando due possibili fattispecie:

  • interruzione solo momentanea dell’attività, che non mette in discussione l’efficienza della struttura operativa; tale periodo di inattività non rileva ai fini della verifica del requisito della commercialità;
  • interruzione “strutturale” derivante dal depotenziamento dell’azienda dovuto, ad esempio, alla cessione di asset di notevole importanza oppure al licenziamento del personale; in tal caso, occorre far riferimento a quanto indicato dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 10 del 2005.

L’orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate mira ad evitare che, mantenendo formalmente in bonis una società, nella realtà dei fatti in stato di liquidazione, possano essere dedotte, all’atto della cessazione definitiva della società, minusvalenze che ordinariamente sono indeducibili. Infatti, l’assenza di un’attività commerciale nel triennio che precede il realizzo comporta che eventuali minusvalenze risultino integralmente deducibili, stante l’impossibilità di accesso al regime pex.