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L’Agenzia delle Entrate, nella risposta a interpello 14.7.2020 n. 216, ha chiarito che, in presenza di un contratto che prevede l’esecuzione di differenti prestazioni, qualora venga emessa fattura per un acconto generico con applicazione dell’aliquota IVA ordinaria, non sarà possibile, al momento della successiva rendicontazione delle opere eseguite, emettere una nota di credito per avvalersi di un’aliquota agevolata sull’importo già fatturato.

Le variazioni in diminuzione, diversamente da quelle che rettificano in aumento l’imponibile o l’imposta, sono facoltative e circoscritte alle fattispecie elencate nell’art. 26 co. 2 e 3 del DPR 633/72. In particolare, la nota di credito può essere emessa nel caso in cui l’operazione per la quale sia stata emessa fattura venga meno, in tutto o in parte, a seguito di (art. 26 co. 2 del DPR 633/72):

  • dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili;
  • mancato pagamento a causa di procedure concorsuali, di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose, di un accordo di ristrutturazione del debito omologato o di un piano attestato ex art. 67 del RD 267/42, pubblicato nel Registro delle imprese;
  • applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente.

Secondo quanto disposto dall’art. 26 co. 3 del DPR 633/72, è, inoltre, possibile procedere alla variazione in diminuzione, ma non dopo il decorso di un anno, qualora l’operazione sia venuta meno per sopravvenuto accordo fra le parti o per rettificare inesattezze che abbiano dato luogo a una delle fattispecie previste dall’art. 21 co. 7 del DPR 633/72 (fatture per operazioni inesistenti, corrispettivi o imposta superiori a quelli realmente applicabili).

L’Agenzia delle Entrate precisa che, nel caso oggetto di analisi nella risposta 216/2020, in cui il soggetto passivo ha emesso fattura per un acconto generico, non correlato specificamente ad alcuna delle operazioni che dovevano essere eseguite, non si è verificata nessuna delle circostanze previste dall’art. 26 co. 2 e 3 del DPR 633/72. Al momento della fatturazione dell’acconto, infatti, non era possibile ripartire la somma fra le varie prestazioni, la cui esecuzione era comunque già prevista nelle originarie pattuizioni contrattuali.

Non è stato giudicato errato, dunque, il comportamento tenuto all’atto della fatturazione dell’acconto – con applicazione dell’aliquota ordinaria –, né sussisterebbero i presupposti per ritenere verificate le “inesattezze della fatturazione” cui fa riferimento il citato art. 26 co. 3 del DPR 633/72, per la correzione delle quali, oltretutto, sarebbero scaduti i necessari termini, dal momento che l’errore, qualora esistente, avrebbe dovuto essere rettificato entro un anno dalla commissione.