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Una delle restrizioni maggiormente incisive conseguenti al coronavirus è sicuramente la limitazione della libertà personale di movimento: il documento OECD Secretariat Analysis of Tax Treaties and the Impact of the COVID-19 Crisis, pubblicato sul sito dell’OCSE affronta il problema di stabile organizzazione e di residenza fiscale in Italia di dipendenti “frontalieri” che lavorano in modalità smart working.

Ad esempio, sono circa 70.000 i dipendenti “frontalieri” di aziende svizzere nel Cantone Ticino che lavorano da qualche settimana in modalità smart working dalle proprie abitazioni in Italia; così come figure apicali (amministratori delegati o direttori generali) di aziende estere che, non potendo raggiungere le rispettive sedi lavorative, stanno dettando linee direttive dall’Italia.

Sul tema stabile organizzazione, il documento sopracitato, fornisce indicazioni per tutte e tre le relative forme, la materiale, la personale e la construction PE.

In generale, una S.O. deve avere un certo grado di permanenza ed essere a disposizione dell’impresa estera affinché possa considerarsi esistente una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa estera esercita, in tutto o in parte, la sua attività d’impresa nello Stato in cui la base è situata. Il documento evidenzia il carattere di eccezionalità dell’evento COVID-19, unitamente alla circostanza che lo smart working sia riconducibile a un caso di forza maggiore e non a una direttiva dell’azienda, per escludere che una situazione temporanea di home from work possa dare adito a temi di stabile organizzazione materiale. A supporto è richiamato il paragrafo 18 della versione attuale del Commentario all’art. 5 del modello OCSE, dove si fa una precisa distinzione tra l’ipotesi di utilizzo dell’home office in misura “intermittent or incidental” rispetto al caso in cui “a home office is used on a continuous basis for carrying on business activities for an enterprise”.

Allo stesso modo, l’eccezionalità dell’evento porta a escludere un tema di stabile organizzazione personale: requisito imprescindibile per la sua configurabilità si ha quando un determinato soggetto (un agente o un dipendente) concluda abitualmente contratti, nel territorio dello Stato, per conto di un’impresa estera. L’elemento determinante di tale presenza all’estero è dunque l’esistenza del requisito dell’abitualità nell’esercizio di tali funzioni, equivalente a quello della stabilità per la stabile organizzazione di tipo materiale. Anche in tal caso, secondo quanto specificato nel documento in analisi, laddove per cause di forza maggiore o per imposizioni governative un soggetto si trovi costretto a concludere da remoto (dunque da uno Stato diverso da quello di residenza dell’impresa) contratti per conto dell’impresa estera, ciò non può portare, laddove la situazione sia temporanea, a configurare il carattere dell’abitualità. A supporto di tale affermazione sono richiamati i paragrafi 6 e 33.1 del Commentario all’art. 5 nella versione del 2014, nonché il paragrafo 98 del Commentario del 2017. Un approccio differente va invece adottato qualora il soggetto già prima del COVID-19 concludesse abitualmente “da casa” contratti per conto dell’impresa.

In tema di construction PE il documento ricorda come la sua esistenza richieda una durata continuativa superiore a 12 mesi (per il modello OCSE) o di 6 mesi (per il modello ONU). Le restrizioni da COVID-19 possono aver determinato un’interruzione temporanea del cantiere di costruzione: il paragrafo 55 del Commentario all’art. 5 paragrafo 3 del modello OCSE detta il principio secondo cui le interruzioni temporanee (ad esempio dovute a condizioni climatiche, difficoltà di reperimento delle materie prime e ora COVID-19) non interferiscono sul computo della durata di esistenza del cantiere ai fini della verifica della duration clause.

Alla stessa maniera, secondo il documento, un cambiamento temporaneo di luogo di lavoro degli executive è un evento straordinario ed estemporaneo che non può dar luogo a temi di residenza fiscale all’estero, considerando in particolar modo le tie breaker rule contenute nei Trattati.

Secondo quanto stabilito nei Trattati conformi al modello OCSE del 2017, in ipotesi di potenziale doppia residenza fiscale, le autorità dei Paesi devono dialogare pe risolvere la questione, tra i fattori da considerare allo scopo spiccano il luogo in cui il board solitamente si riunisce, il luogo in cui il CEO e gli altri senior executive usualmente svolgono le loro attività, dove è localizzato l’headquarter e simili.

Viene dunque dato ancora risalto al contrasto tra l’eccezionalità (temporaneità) della situazione causata dal COVID-19 e la normalità (abitualità) che caratterizza gli eventi aziendali rilevanti ai fini convenzionali. Per i Trattati conformi alle precedenti versioni del modello (come quelli stipulati dall’Italia), i casi di doppia residenza vengono risolti in base al requisito dell’effective place of management. Il wording è diverso ma il concetto è il medesimo. Tutti i fatti e le circostanze devono essere esaminati per determinare l’abituale e ordinario place of effective management e non quelli relativi a un periodo eccezionale e temporaneo come è quello dovuto dall’emergenza COVID-19.