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Per la prima volta la Cassazione, nell’ordinanza n. 31654 depositata il 4 dicembre 2019, afferma che è possibile la revocatoria ordinaria, ex art. 2901 c.c., dell’atto di scissione, a fronte di dottrina e giurisprudenza ancora fortemente divise sul tema.

In supporto della tesi di inammissibilità si pongono le seguenti argomentazioni:

  • la natura organizzativa dell’atto di scissione, che non determinerebbe un trasferimento patrimoniale e, quindi, non sarebbe aggredibile con l’azione revocatoria;
  • l’irretrattabilità degli effetti della scissione una volta iscritta nel Registro delle Imprese;
  • la previsione, quale strumento di tutela ad hoc per i creditori della società stessa, del potere di opporsi alla scissione;
  • la facoltà per i creditori della società scissa di far valere la responsabilità solidale della società beneficiaria della scissione ex art. 2506-quater comma 3 c.c..

In sostegno alla tesi dell’ammissibilità, invece, emergono le seguenti ragioni:

  • la non coincidenza, quanto a effetti di legittimazione attiva, tra rimedio (specifico) dell’opposizione e rimedio (generale) della revocatoria;
  • la mancanza di un’esplicita esclusione normativa del rimedio generale della revocatoria;
  • la constatazione che la scissione in ogni caso realizza, sul piano degli effetti, un passaggio di elementi patrimoniali, ossia integra un atto di tipo organizzatorio cui si riconnettono modificazioni giuridiche di elementi patrimoniali, che, come tale, sarebbe revocabile;
  • il fatto che della responsabilità solidale di cui all’art. 2506-quater comma 3 c.c. possono beneficiare solo i creditori anteriori alla scissione.

La Suprema Corte pone principalmente l’accento sull’art. 2504-quater c.c. – dettato in tema di fusione ma richiamato per la scissione dall’art. 2506-ter comma 5 c.c. – ai sensi del quale, eseguite le iscrizioni dell’atto di scissione (e di fusione) a norma del secondo comma dell’art. 2504 c.c. (anch’esso richiamato per la scissione dall’art. 2506-ter comma 5 c.c.), l’invalidità dell’atto di fusione non può essere pronunciata. Resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci o ai terzi danneggiati dalla fusione.

Secondo i giudici di legittimità, non è possibile desumere da tale norma, che esclude solo una dichiarazione di invalidità (nullità e annullamento) della scissione (e della fusione), la non esperibilità dell’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., che non determina alcuna invalidità dell’atto, ma esclusivamente la sua inefficacia relativa, rendendolo inopponibile al creditore pregiudicato. In particolare, la regola inserita nel codice civile in attuazione delle direttive nn. 78/855/Cee e 82/891/Cee in materia di fusioni e scissioni societarie fin dal 1991 presuppone una scissione o fusione efficace e – superando la distinzione tra nullità e annullabilità dell’atto, quali situazioni accomunate nella nozione di invalidità – è tesa ad evitare effetti demolitori sulle operazioni in questione.

Una simile previsione appare pienamente compatibile con la natura e gli effetti dell’azione revocatoria, quale strumento di conservazione della garanzia patrimoniale che opera sul piano della mera inopponibilità dell’atto nei confronti del creditore pregiudicato.

In mancanza di un adeguato fondamento normativo, non rinvenibile nell’articolo 2504-quater c.c., in ragione del suo riferimento alla categoria dell’invalidità e non a quelle dell’inefficacia e inopponibilità, non può dunque ritenersi che l’opposizione che compete ai creditori sia un rimedio “sostitutivo e necessario” e non solo “aggiuntivo” rispetto all’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, quando, ovviamente, ne sussistano i presupposti.

A tal proposito rileva in particolare il fatto che l’art. 2901 c.c. richiede che gli atti dispositivi posti in essere dal debitore debbano solo determinare una menomazione del patrimonio del disponente, in modo tale da pregiudicare la facoltà del creditore di soddisfarsi sul medesimo, senza che sia necessario l’ulteriore requisito della impossibilità o della difficoltà del creditore di conseguire in altro modo la prestazione, avvalendosi di rapporti con soggetti diversi.

Pertanto, nel caso di solidarietà passiva solidale, il c.d. eventus damni va accertato con esclusivo riferimento alla situazione patrimoniale del debitore convenuto con l’azione, non rilevando l’indagine sull’eventuale solvibilità dei coobbligati.

Nel caso di specie, è irrilevante l’eventuale responsabilità solidale delle società risultanti dalla scissione, di cui all’art. 2506-quater comma 3 c.c., per eliminare il pregiudizio subito dal creditore della scissa, a prescindere dalla sussistenza di una condizione di impossibilità o di mera difficoltà nella realizzazione del credito rispetto alle società risultanti dalla scissione.