Assume rilievo ai fini IVA la cessione della lista clienti: questo tipo di operazione non è generalmente qualificabile come cessione di ramo d’azienda, fuori campo IVA ai sensi dell’art. 2 comma 3 lett. b) del DPR 633/72.
Tali chiarimenti sono stati forniti nella risposta ad interpello n. 466/2019, di recente pubblicazione sul sito dell’Agenzia delle Entrate, in continuità con la risoluzione n. 108/2002 riferita alla cessione della clientela di uno studio professionale.
Nell’analisi sotto il profilo IVA il trattamento della cessione della clientela, l’Agenzia delle Entrate fa riferimento ai principali elementi della nozione civilistica di “azienda”. La stessa deve essere intesa in senso ampio, comprendendo anche i complessi aziendali relativi a singoli rami d’azienda; inoltre la cessione “deve riguardare l’azienda o il complesso aziendale nel suo insieme, quindi quale universitas di beni materiali, immateriali e di rapporti giuridico-economici suscettibili di consentire l’esercizio dell’attività di impresa e non i singoli beni che compongono l’azienda stessa “(es. C.M. n. 320/97).
Facendo riferimento a diversi elementi di giurisprudenza, l’Agenzia sottolinea che, sebbene non sia necessaria la cessione di tutti gli elementi che normalmente costituiscono l’azienda, quanto meno nel complesso di quelli ceduti deve permanere “un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine all’esercizio dell’impresa, sia pure mediante la successiva integrazione da parte del cessionario” (es. Cass. n. 9575/2016).
Considerando i suddetti elementi, un portafoglio clienti non può, da solo, integrare la struttura organizzativa aziendale, “in quanto trattasi di un unico asset patrimoniale, e non di un’organizzazione idonea, nel suo complesso, allo svolgimento di un’attività produttiva”.
La cessione del pacchetto clienti può essere considerata come cessione di ramo d’azienda solo ed esclusivamente nel caso in cui il portafoglio clienti costituisce “un complesso organico dotato di autonoma potenzialità produttiva” (Corte di Giustizia causa C-50/91; Cass. n. 897/2002; Cass. n. 206/2004).
Diversamente, un’operazione che non è considerabile secondo tale fattispecie, è da ritenersi, secondo la risposta ad interpello, come “cessione di un singolo bene”, con conseguente applicazione dell’imposta di registro in misura fissa.
Nonostante i chiarimenti non appaiano del tutto esaustivi, la fattispecie dovrebbe essere ricondotta ai fini IVA ad una prestazione di servizi soggetta ad imposta ex art. 3 del DPR 633/72.
In precedenza, l’Agenzia si era già pronunciata nella richiamata risoluzione n. 108/2002, nella quale si faceva riferimento alla cessione della clientela di uno studio professionale, ivi affermando che il compenso corrisposto al professionista per la cessione di parte di attività e relativa clientela rappresenta il corrispettivo di una prestazione di servizi dipendente da obbligazioni di fare, non fare e permettere, rilevante ai fini IVA ex art. 3 comma 1 del DPR 633/72.
In quella circostanza, a seguito del trasferimento di parte dell’attività, veniva a crearsi tra le parti un rapporto di tipo obbligatorio nel quale il professionista “cedente”, a fronte del compenso percepito, “assume l’impegno di favorire il soggetto subentrante nella prosecuzione del rapporto con i propri vecchi clienti”. Per questo motivo, il professionista, si astiene dallo svolgimento dell’attività professionale in concorrenza con il nuovo soggetto e “si impegna altresì a favorire la prosecuzione del rapporto tra i suoi vecchi clienti ed il nuovo soggetto”.