L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello 20.9.2019 n. 387, ha precisato che la riduzione dell’ammontare imponibile di un’operazione che consegue ad un accordo transattivo rientra nella fattispecie di cui all’art. 26 co. 3 del DPR 633/72, anche nell’ipotesi in cui la transazione sia avvenuta nell’ambito di un giudizio di merito instaurato fra le parti. Il cedente/prestatore non potrà quindi portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione, se è decorso un anno dall’effettuazione dell’operazione.
Viene così confermato un principio ormai consolidato e recentemente espresso anche nella risposta a interpello 178/2019.
Il fatto posto all’esame dell’Amministrazione finanziaria riguardava una lite per vizi su fornitura, che aveva dato origine a procedimenti giudiziali. Tali procedimenti erano stati successivamente estinti grazie a un accordo transattivo, in base al quale la parte acquirente avrebbe versato un importo corrispondente alle somme fatturate dedotto un ammontare commisurato ai difetti dei beni; la parte cedente, dal canto suo, si sarebbe fatta carico di emettere a favore della prima una nota di accredito per l’importo decurtato.
La transazione (art. 1965 c.c.) è il contratto che consente alle parti, grazie a reciproche concessioni, di porre fine a una lite già iniziata o prevenirne una che può sorgere. Secondo la giurisprudenza della Cassazione, la transazione può essere “semplice” (dichiarativa), nel caso in cui le parti si limitino a modificare il rapporto preesistente, mentre ha natura “novativa” nell’ipotesi in cui esse estinguano integralmente il precedente rapporto sostituendolo “con quanto scaturisce dall’accordo transattivo” (Cass. 13.6.80 n. 3769, 23.2.2006 n. 4008, 11.11.2016 n. 23064 e 27.6.2018 n. 16905).
Nel caso in esame si ricade nella prima fattispecie, posto che la causa che giustifica la diminuzione del prezzo convenuto inizialmente trova fondamento nel rapporto che sussisteva originariamente fra le parti.
Nel fatto oggetto dell’interpello all’Amministrazione finanziaria, le fatture originarie erano state emesse nel 2016 e nel 2017, e l’istante si chiedeva se le note di variazione avessero dovuto o meno comprendere l’IVA.
A norma dell’art. 26 co. 2 del DPR 633/72, nell’ipotesi in cui un’operazione venga meno, in tutto o in parte, “in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili (…) il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione (…) l’imposta corrispondente alla variazione”. Il successivo co. 3 dispone che la suddetta variazione dell’imposta – e la corrispondente detrazione da parte del cedente/prestatore – non può trovare applicazione “decorso un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile” qualora gli eventi indicati al co. 2 si verifichino a seguito di “sopravvenuto accordo fra le parti”.
La riduzione dell’imponibile non consegue, nella specie, a una disposizione del giudice nell’ambito del procedimento instaurato (circostanza che avrebbe consentito l’applicazione dell’art. 26 co. 2 del DPR 633/72), quanto a un accordo che le parti hanno raggiunto in separata sede; ciò comporta l’applicazione delle disposizioni dell’art. 26 co. 3 del DPR 633/72. La nota di accredito deve essere pertanto emessa per il solo ammontare imponibile, dal momento che, risalendo le operazioni originarie alle annualità 2016 e 2017, è ormai decorso il termine annuale previsto dalla norma per la variazione della relativa imposta.