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In tema di riporto delle perdite fiscali nelle fusioni, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che le perdite possono essere trasferite all’incorporante anche se non sono rispettati i requisiti di “vitalità” dell’art. 172 co. 7 del TUIR, purché venga in altro modo dimostrata l’operatività e la capacità produttiva delle società e il valore reale degli asset trasferiti con la fusione sia superiore alle perdite stesse.

Sulla base di tale orientamento, l’Agenzia delle Entrate ha fornito risposta positiva a due istanze di interpello riguardanti due diverse operazioni di fusione.

La risposta 93/2018 ha ad oggetto il riporto delle perdite fiscali e delle eccedenze ACE nell’ambito di una fusione tra due banche, perfezionata la quale la società incorporata è risultata “vitale” in base ai parametri dei ricavi e proventi dell’attività caratteristica e del costo relativo al lavoro dipendente, ma ha rilevato un patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio inferiore a quello delle perdite fiscali e delle eccedenze ACE.

La risposta 94/2018 ha, invece, ad oggetto il riporto delle eccedenze di interessi passivi non dedotti nell’ambito di un’operazione di Merger Leveraged buy out (MLBO) a seguito della quale la società incorporata, pur rispettando il parametro relativo al patrimonio netto contabile, non risultava “vitale” né in base al parametro dei ricavi, né in base a quello del costo per lavoro subordinato.

L’Agenzia delle Entrate ha, in entrambi i casi, valorizzato le ragioni gestionali sottese alla fusione, che autorizzano quindi a ritenere che questa non sia stata perfezionata al solo (o principale) scopo di trasferire all’incorporante le perdite.

Nel caso delle due banche, l’incapienza del patrimonio netto contabile è stata determinata da svalutazioni contabili dei crediti alla clientela derivanti da una cattiva gestione; l’Agenzia delle Entrate ha, tuttavia, preso atto che queste svalutazioni sono espressione di un per-corso di risanamento sfociato nella fusione, la quale ha permesso di continuare con maggiore efficienza e risultati l’attività della società incorporata (la quale, peraltro, non aveva mai smesso di operare).

Nel secondo caso, l’Agenzia delle Entrate, dopo aver richiamato l’orientamento formalizzato, da ultimo, nella ris. 10.4.2008 n. 143, per cui l’assenza di dipendenti non è di per sé indice di assenza di “vitalità”, ha valorizzato il fatto che, nell’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, la società incorporanda non ha percepito dividendi dalla controllata statunitense, ma il flusso di dividendi è stato ininterrotto nei sette anni prece-denti, ed è poi continuato (a favore della società incorporante) dopo la fusione tra le due società italiane.

L’Agenzia delle Entrate richiama il passaggio della Relazione al “vecchio” TUIR, secondo cui la ratio delle limitazioni in esame, nell’ambito delle operazioni straordinarie, risiede nella volontà di evitare che “per mezzo della fusione si trasmettano deduzioni del tutto sproporzionate alle consistenze patrimoniali delle società fuse o incorporate”.

Questo principio è reinterpretato nel senso per cui, ogniqualvolta il patrimonio netto a valori reali dell’entità trasferita risulti superiore alle attività per le quali operano le limitazioni di legge (perdite, eccedenze di interessi ed eccedenze ACE), l’art. 172 co. 7 del TUIR può essere disapplicato. Ciò è avvenuto:

  • per la banca, in considerazione della valorizzazione del portafoglio crediti secondo l’IFRS 3;
  • per la società veicolo dell’operazione di MLBO, in virtù del fatto che le eccedenze di interessi acquisite dall’incorporante con la fusione “si accompagnano all’asset partecipativo nella società USA (acquisita anch’essa con la fusione, nda), peraltro avente un valore di mercato di molto superiore al beneficio fiscale”.