tel. 049.8763120 - fax. 049.8752942 segreteria@zagarese.net

Con l’ordinanza n. 9717/2018, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulle prove per le cessioni comunitarie, sostenendo che i documenti di origine privata, come ad esempio fatture emesse e contabili di pagamento tramite bonifico, non sono idonee a dimostrare le condizioni previste per la non imponibilità delle cessioni intracomunitarie.

Secondo la Corte, tra le prove adatte a dimostrare la qualifica comunitaria dell’operazione devono essere annoverati il modello CMR, il quale reca le firme di cedente, cessionario e vettore, che sono i soggetti coinvolti nell’operazione, e i contratti commerciali.

Per quanto riguarda la disciplina comunitaria, gli elementi sostanziali sono:

  • l’avvenuto trasferimento all’acquirente del potere di disporre del bene come proprietario;
  • l’avvenuta spedizione o trasporto del bene in un altro stato membro (diverso da quello del cedente);
  • l’effettiva fuoriuscita della merce dal territorio dello stato membro del soggetto cedente.

Tale ultimo elemento (effettivo trasferimento del bene) costituisce una condizione strutturale della fattispecie normativa, tanto che la sua mancanza impedisce il riconoscimento del carattere comunitario dell’operazione (sentenze della Corte di Cassazione n. 1670/2013 e 5142/2016). Il cedente nazionale che svolge operazioni comunitarie, deve quindi dimostrare di aver assolto gli oneri formali ma soprattutto la sussistenza dei sopracitati requisiti sostanziali, in particolare la prova dell’effettiva introduzione dei beni ceduti nel territorio dello stato membro in cui il cessionario è soggetto d’imposta. Non essendo prevista una disposizione specifica nell’ambito del diritto nazionale italiano, l’operatore può fare riferimento alla prassi abituale e soprattutto ai chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate che, con la risoluzione 477/2008, ha espressamente affermato “la prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria e dell’uscita dei beni dal territorio dello stato può essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro stato membro”. In questo contesto emerge una difformità di orientamento che pone il contribuente in una situazione di incertezza, in quanto da un lato l’Agenzia delle Entrate sembra riconoscere una certa apertura mentre la Corte di Cassazione sembra confermare un approccio restrittivo, teso a ritenere il CMR firmato come prova fondamentale per la qualificazione dell’operazione come comunitaria. Di conseguenza al contribuente non dovrebbe poter essere contestata la natura comunitaria dell’operazione nel caso in cui riesca a provare il rispetto dei requisiti sostanziali (in particolare l’introduzione dei beni in altro stato membro) attraverso mezzi di prova certi anche di origine privata diversi dal CMR firmato. È confermato che l’onere di provare lo scambio intracomunitario, secondo la giurisprudenza consolidata, “grava sul contribuente cedente, che emette la fattura dichiarando che l’operazione non è imponibile” (Cass. n. 13457/2012). Sarebbe utile introdurre, tramite disposizione di legge, un elenco ufficiale di documenti necessari al contribuente per provare la natura delle operazioni intracomunitarie; a tal proposito si segnala la proposta di Regolamento di esecuzione del Consiglio europeo del 4 ottobre 2017, n. 568, che prevede un set di documenti accettati come elementi di prova del trasporto o spedizione.