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Recenti sentenze della Cassazione hanno chiarito il trattamento contabile e i riflessi fiscali degli oneri pluriennali residuali.

Le norme fiscali in materia di costi di impianto sono del tutto allineate a quelle civilistiche con l’unico vincolo che, per le imprese di nuova costituzione, la deduzione è ammessa solo a partire dall’anno di conseguimento dei primi ricavi.

In merito alla capitalizzazione e alla deduzione dei costi, un tema importante è rappresentato dalle spese di manutenzione e migliorie; per gli interventi su beni propri, siano essi capitalizzabili o meno in base a quanto disposto dall’Oic 16, la Cassazione ha recentemente affermato (sentenza 3170/2018) che la norma fiscale (articolo 102, comma 6, TUIR) consente di esercitare una scelta tra capitalizzazione delle spese incrementative o deduzione immediata entro la soglia del 5% del costo dei beni ammortizzabili.

Sulla base di tale interpretazione, quindi, se non si capitalizzano in bilancio spese di manutenzione potenzialmente straordinarie – poiché si stima che si supererebbe il valore recuperabile – l’importo sarà deducibile nei limiti del 5%.

Nel caso di manutenzione su beni di terzi, siano essi in comodato, leasing o locazione, il costo è capitalizzabile qualora l’intervento si sostanzi in ampliamenti, ammodernamenti, sostituzioni ecc.. L’ammortamento civilistico andrà poi effettuato in base al più breve tra il periodo di utilità futura e la durata residua del contratto tenendo conto dell’eventuale rinnovo, se dipendente dal conduttore.

La rilevanza della scelta contabile, adeguatamente motivata, è stata ribadita dalla Cassazione con le sentenze 382/2016 e 6288/2018, secondo le quali non è necessariamente richiesta la deduzione fiscale su un arco di 12 anni (6 anni più 6 di rinnovo) qualora il piano di ammortamento della società sia di soli 6 anni.