Con la risposta a interpello 18.12.2018 n. 113, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che, nel caso di concordato preventivo con continuità aziendale (art. 186-bis del RD 267/42), i creditori possono emettere la nota di variazione IVA, relativamente alla parte del loro diritto rimasta insoddisfatta, solo a partire dal momento in cui viene portato a compimento il piano di riparto, ferma restando la facoltà di esercitare la detrazione entro il termine previsto dall’art. 19 co. 1 del DPR 633/72, la cui formulazione è stata modificata dall’art. 2 co. 1 del DL 50/2017, con effetto sulle fatture e bollette doganali emesse dall’1.1.2017.
L’art. 26 co. 2 del DPR 633/1972 attribuisce al creditore (cedente o prestatore) la facoltà di emettere la nota di variazione IVA senza limiti temporali particolari – salvo quelli imposti dal precedente art. 19 co. 1 del DPR 633/1972 – a seguito del mancato pagamento, anche soltanto parziale, cagionato dall’infruttuosità della procedura concorsuale del debitore (cessionario o committente).
Nel caso specifico del concordato preventivo con continuità aziendale (art. 186-bis del RD 267/42), l’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello 18.12.2018 n. 113, ha affermato che sono applicabili i medesimi principi formulati in passato con riguardo al concordato preventivo liquidatorio, secondo cui l’infruttuosità della procedura concorsuale (circ. Agenzia Entrate 7.4.2017 n. 8, § 13.2, e C.M. 17.4.2000 n. 77):
- sussiste soltanto quando si ha una ragionevole certezza dell’incapienza del patrimonio del debitore;
- deve essere accertata avendo riguardo non soltanto al passaggio in giudicato del decreto di omologazione, ma anche al momento in cui il debitore adempie agli obblighi assunti in sede di concordato preventivo. Sino a tale data, infatti, questa procedura può essere risolta e può essere dichiarato il fallimento.
Conseguentemente, anche nel concordato preventivo con continuità aziendale, i creditori possono emettere la nota di variazione IVA, relativamente alla parte del loro diritto rimasta insoddisfatta, soltanto dall’istante in cui viene portato a compimento il piano di riparto, ferma restando la facoltà di esercitare la detrazione entro il termine previsto dall’art. 19 co. 1 del DPR 633/72 (ris. Agenzia delle Entrate n. 18.3.2002 n. 89), la cui formulazione è stata modificata dall’art. 2 co. 1 del DL 50/2017, con effetto sulle fatture e bollette doganali emesse dall’1.1.2017.
Con la risposta 18.12.2018 n. 113, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, laddove il dies a quo per l’emissione delle note di variazione IVA sia precedente all’1.1.2017, è necessario fare riferimento al previgente art. 19 co. 1 del DPR 633/72, a norma del quale il diritto alla detrazione può essere esercitato “con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto”. Diversamente, se la facoltà di emissione del documento di rettifica di cui all’art. 26 co. 2 del DPR 633/72 è sorta dall’1.1.2017, la detrazione può essere esercitata in base alla novellato art. 19 co. 1 del DPR 633/72, al più tardi “con la dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto”.
La nota di variazione IVA emessa tardivamente, dopo il decorso di tali termini, non legittima l’emittente alla detrazione, e non obbliga alla registrazione chi la riceve, non ha, invece, alcuna rilevanza, ai fini del diritto alla detrazione, la data di ricezione del documento di rettifica.
La suddetta assimilazione ai consolidati principi del concordato preventivo liquidatorio è, pertanto, coerente con quanto sostenuto dalla stessa Amministrazione finanziaria, nella risposta a interpello 30.10.2018 n. 54, relativamente agli effetti sul debitore concordatario dei documenti di rettifica emessi, ai sensi dell’art. 26 co. 2 del DPR 633/72, dai creditori parzialmente insoddisfatti. In tale sede, era stata affermata l’applicazione anche alla procedura di cui all’art. 186-bis del RD 267/42 dell’orientamento delineato dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 17.10.2001 n. 161, in virtù della quale la nota di variazione IVA emessa dal creditore parzialmente insoddisfatto – in virtù dell’esecuzione del piano di ripartizione finale dell’omologato concordato preventivo – non genera l’emersione di una passività tributaria in capo al debitore.
Con la risposta 113/2018, quindi, si ribadisce che la rettifica della detrazione non viene considerata doverosa alla luce delle stesse logiche che ispirano la procedura concorsuale e della più ampia finalità di esdebitazione cui la medesima è orientata.
La conclusione alla quale giunge l’Agenzia delle Entrate differisce da quanto affermato dalla Corte UE nella causa C-396/16, ma risulta coerente, a parere dell’Amministrazione finanziaria, con due specifiche disposizioni:
- l’art. 26 co. 2 del DPR 633/72, che qualifica le procedure concorsuali come causa del “mancato pagamento in tutto in parte” del prezzo convenuto, da cui discende il diritto del debitore al mantenimento della detrazione IVA conseguente all’operazione originaria;
- l’art. 185 par. 2 della Direttiva 2006/112/CE, che stabilisce una deroga all’obbligo di rettifica della detrazione in caso di variazione dell’imposta proprio nell’ipotesi di “operazioni totalmente o parzialmente non pagate”.