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Spesso le imprese necessitano di fondi, a breve, per finanziare il proprio capitale circolante. Per rispondere a questa esigenza, di recente si stanno affermando forme atipiche di finanziamento quali l’invoice trading e altre piattaforme ad hoc, le quali costituiscono sostanzialmente cessioni di credito commerciale, spesso nella forma del factoring, con modalità fortemente digitalizzate.

Risulta quindi utile soffermarsi sulle specificità di queste forme di factoring sia dal punto di vista di bilancio sia sotto il profilo fiscale.

Operazioni di questo genere sono preferibili rispetto al classico anticipo bancario; in quest’ultimo caso infatti il credito commerciale resta invariato a fronte di un incremento della liquidità e un pari incremento del debito bancario. Per quanto riguarda invece un’operazione di factoring pro soluto, il credito viene a smobilizzarsi in seguito ad un introito di liquidità che contribuisce di fatto a migliorare anche la posizione finanziaria netta (Pfn). Pertanto, l’operazione determina una riduzione del credito commerciale, l’incremento delle disponibilità liquide e il miglioramento della Pfn, migliorando di conseguenza anche il bilancio.

Da un punto di vista fiscale, occorre analizzare queste operazioni sotto il profilo delle imposte dirette e indirette. Secondo il primo aspetto, l’impresa si trova a corrispondere, in seguito allo smobilizzo, interessi passivi e commissioni che sono contabilizzati nell’area finanziaria e rientrano negli ordinari limiti di cui all’articolo 96 del Tuir.

Per quanto riguarda invece le imposte indirette, è utile analizzare l’assoggettamento a Iva o a imposta di registro delle operazioni in questione. Le cessioni pro soluto di crediti, cambiali o assegni sono prestazioni di servizi imponibili Iva ai sensi dell’articolo 3, comma 1, n. 3, Dpr 633/72, norma che va messa in relazione con l’art. 10, n. 1 per cui le operazioni di finanziamento realizzate anche mediante cessione di crediti pro soluto o pro solvendo risultano esenti ai fini Iva. Diversi sono i casi di operazioni di recupero crediti che sono escluse dal regime di esenzione essendo di fatto imponibili; le cessioni di credito pro soluto non aventi causa di finanziamento ma effettuate in conto pagamento di preesistenti obbligazioni risultano escluse Iva ai sensi dell’articolo 2, comma 3, lettera a).

Questi principi sono stati chiariti dalle risoluzioni 71/E/2000 e 139/E/2004, secondo le quali bisogna distinguere il factoring finalizzato al finanziamento, che dà luogo a operazioni esenti, rispetto a quello volto alla riscossione che dà invece luogo a operazioni imponibili. Il concetto è stato successivamente ribadito dalla risoluzione 278/E/2008 nella quale viene specificato che le cessioni di denaro escluse da Iva sono assoggettate ad imposta di registro in misura proporzionale dello 0,50% (articolo 6, Tariffa, parte I, Dpr 131/86).

Per distinguere le operazioni di finanziamento da quelle di recupero crediti è necessario condurre un’analisi caso per caso: nel primo caso si verifica la cessione della titolarità del credito mentre l’erogazione delle somme al momento della cessione è indice di un factoring. Per contro, l’erogazione effettuata solo all’effettivo incasso denota un’attività di recupero crediti.

Nel caso in cui il factoring sia assoggettato ad Iva (operazioni imponibili o esenti) per il principio di alternatività si applica l’imposta di registro fissa pari ad euro 200.